Monday, April 08, 2013

Un compleanno manouche.


Paris, 21 gennaio 2013 *
 
Lunedì sera. Nei pressi della Sorbona


Un compleanno manouche.

  Il giorno prima, il 20,  su consiglio di Rosita Kèes avevo fatto un salto al Pop In Rue Amelot.
Sono arrivato al locale suggerito nel pomeriggio con Francesca, attraversando strade bianche di neve, sotto un cielo basso,  poco prima avevamo fatto una pausa in un locale latino dove avevamo bevuto un mojito al campari perfetto.
Entro, scambio due parole con il ragazzo al banco, si rivela disponibile mentre spina le prime birre del suo turno.
Chiedo conferma della serata open mic, mi ci iscrivo, sono quinto in  lista;  poi, dopo due chiacchiere con gli altri musicisti presenti e una birra scura seduto al tavolo con Francesca, usciamo e riprendiamo a camminare sotto la neve per cercare un posto dove mangiare qualcosa e fare sera, senza pensare a tornare all'hotel.

  Al ritorno il Pop In era pieno di gente, ci sediamo al tavolo con dei ragazzi che non conoscevamo e coi quali subito iniziamo a parlare delle cose più svariate, in pochi minuti il tavolo si allarga di persone, e nasce una immediata amicizia istintiva con un ragazzo francese che viveva in Inghilterra. Aveva una chitarra degli anni '50 in una bella custodia elegantemente lacerata, mi ha dato fiducia prestandomela.

L' open mic, per chi non ne fosse a conoscenza, è una serata dove gli artisti hanno la possibilità di esibirsi in due brani ovvero in dieci minuti circa, uno dopo l'altro. E'interessante, si sentono le proposte più varie per stile e bravura; la sala era piena, un buon termometro. Io agitato. Ho ascoltato gli altri fremendo, gustandomi comunque le belle cose, e nel frattempo rassicurando il mio nuovo amico sul fatto che non gli avrei danneggiato la chitarra, tra tutto ciò meditavo su cosa suonare, non è mai facile salire su un palco da soli e guardare in faccia il pubblico. Ho optato per un vecchio standard che avevo sentito in un disco di Bud Powell, "Polkadoats and Moonbeans" e Eleonor Rigby, sulla quale mi sentivo sicuro. Ho iniziato con quella. Avevo un bel po' di persone davanti e la vecchia chitarra aveva deciso di non farsi accordare. Poi, dopo averla rabbonita con un paio di sussurri nelle "f" del suo corpo di metallo e legno, ho trovato un equilibrio accettabile e son partito. Emozionato ho cercato le prime note e il primo applauso è arrivato in un attimo. Era già ora del secondo pezzo e questo lo suono davvero per bene, trovo uno swing decente e, che quasi mi stupisco di me stesso sentendo quel ritmo rutilante. Qui l' applauso arriva pieno e lungo: scendo lo scalino del palco tra facce sorridenti, il sudore della mia camicia, pacche sulle spalle, la stretta di mano dei fonici e un certo rossore in viso. A questo punto mi ritrovo con i ragazzi con i quali ero seduto ad inizio serata, il ragazzo della chitarra aveva suonato anche lui, canzoni medievali, accompagnate da delicate vignette proiettate sul muro dietro le sue spalle, le alternava pigiando il mouse con la pianta del piede sinistro. Ovviamente le vignette erano disegnate da lui.
La musica ci aveva compattati e restituiti sotto una luce diversa, più completa nelle nostre reciproche valutazioni. Ci siamo abbracciati e salutandomi mi consiglia a sua volta un locale per la sera dopo, dove, diceva, avrei trovato zero turisti, musica manouche e facce interessanti. E così è stato.
Arriviamo così al 21 sera, chiedo un paio di informazioni lungo strada, la prima essenziale, la seconda rassicurante e scarpinando non poi molto dall'uscita della metro troviamo questo locale colmo di gente, caldo, diviso in diverse sale, dall'odore depositato nei decenni da sigarette alcol e sbronze indimenticabili. I musicisti hanno la faccia aspra che richiede il genere, evitano i brani furbi e si sfidano in virtuosismi quasi mai stucchevoli. Il chitarrista solista teneva il timone, gli altri a volte gli tributavano rispetto, altre facevano gli irriverenti, la musica ne usciva irregolare, nervosa, interessante.


  Un compleanno manouche, tra rum e ritmi gitani, una notte d'inverno a Parigi.

Aldo